Oggi la liturgia ci propone la parabola evangelica dei due figli
inviati dal padre a lavorare nella sua vigna. Di questi, uno dice subito
sì, ma poi non va; l’altro invece sul momento rifiuta, poi però,
pentitosi, asseconda il desiderio paterno. Con questa parabola Gesù
ribadisce la sua predilezione per i peccatori che si convertono, e ci
insegna che ci vuole umiltà per accogliere il dono della salvezza. Anche
san Paolo, nel brano della Lettera ai Filippesi che quest’oggi
meditiamo, ci esorta all’umiltà. "Non fate nulla per rivalità o
vanagloria - egli scrive -, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà,
consideri gli altri superiori a se stesso" (Fil 2,3). Sono questi gli
stessi sentimenti di Cristo, che, spogliatosi della gloria divina per
amore nostro, si è fatto uomo e si è abbassato fino a morire crocifisso
(cfr Fil 2,5-8). Il verbo utilizzato - ekenôsen - significa
letteralmente che Egli "svuotò se stesso" e pone in chiara luce l’umiltà
profonda e l’amore infinito di Gesù, il Servo umile per eccellenza.
Riflettendo su questi testi biblici, ho pensato subito a Papa Giovanni
Paolo I, di cui proprio oggi ricorre il trentesimo anniversario della
morte. Egli scelse come motto episcopale lo stesso di san Carlo
Borromeo: Humilitas. Una sola parola che sintetizza l’essenziale della
vita cristiana e indica l’indispensabile virtù di chi, nella Chiesa, è
chiamato al servizio dell’autorità. In una delle quattro Udienze
generali tenute durante il suo brevissimo pontificato disse tra l’altro,
con quel tono familiare che lo contraddistingueva: "Mi limito a
raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me
che sono mite e umile di cuore … Anche se avete fatto delle grandi cose,
dite: siamo servi inutili". E osservò: "Invece la tendenza, in noi
tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra" (Insegnamenti di
Giovanni Paolo I, p. 51-52). L’umiltà può essere considerata il suo
testamento spirituale.
Grazie proprio a questa sua virtù,
bastarono 33 giorni perché Papa Luciani entrasse nel cuore della gente.
Nei discorsi usava esempi tratti da fatti di vita concreta, dai suoi
ricordi di famiglia e dalla saggezza popolare. La sua semplicità era
veicolo di un insegnamento solido e ricco, che, grazie al dono di una
memoria eccezionale e di una vasta cultura, egli impreziosiva con
numerose citazioni di scrittori ecclesiastici e profani. E’ stato così
un impareggiabile catechista, sulle orme di san Pio X, suo conterraneo e
predecessore prima sulla cattedra di san Marco e poi su quella di san
Pietro. "Dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio", disse in quella
medesima Udienza. E aggiunse: "Non mi vergogno di sentirmi come un
bambino davanti alla mamma: si crede alla mamma, io credo al Signore, a
quello che Egli mi ha rivelato" (ivi, p. 49). Queste parole mostrano
tutto lo spessore della sua fede. Mentre ringraziamo Dio per averlo
donato alla Chiesa e al mondo, facciamo tesoro del suo esempio,
impegnandoci a coltivare la sua stessa umiltà, che lo rese capace di
parlare a tutti, specialmente ai piccoli e ai cosiddetti lontani.
Invochiamo per questo Maria Santissima, umile Serva del Signore.