mercoledì 27 agosto 2014

Stella: «Papa Luciani? Un sacerdote trasparente, senza ipocrisia»

Il Prefetto della Congregazione del Clero ha presieduto una Messa nel 36° anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo I. «Il sorriso di Francesco ce lo fa ricordare»
 
 
LAPRESSE


26/08/2014


«Il sorriso, la semplicità, l'umanità e il suo non risparmiarsi per il servizio alla Chiesa di papa Francesco ci fa ricordare con profondo affetto il nostro Papa Luciani». Lo ha detto oggi il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, celebrando a Canale d'Agordo una Funzione solenne in occasione dell'anniversario dell'elezione a pontefice di Albino Luciani, originario del paese bellunese, il 26 agosto 1978.

«Un sacerdote trasparente, zelante e senza ipocrisia». Giovanni Paolo I viene definito innanzitutto così da Stella, che con Luciani condivide «le radici in questa terra veneta; l’ho conosciuto da vicino anche come mio Vescovo, per 11 anni, dopo aver partecipato in Roma alla sua consacrazione episcopale».

Giovanni Paolo I «sarà ricordato soprattutto come un modello di vita sacerdotale», ha affermato il Prefetto. Un sacerdote «con una vita tutta volta a rendere visibile e credibile la sostanza del Vangelo - nell’umiltà, nella carità e nella povertà - con una stupenda coincidenza tra quanto insegnava e quanto praticava e viveva, nella fedeltà quotidiana alla sua vocazione, in tutto il suo percorso, da giovane prete fino alla Cattedra di Pietro».

Prete «esemplare, dunque! Che ha speso le sue energie, prima come docente e Vicerettore del Seminario, poi come Vicario generale a Belluno e come Vescovo a Vittorio Veneto, nella cura delle vocazioni e dei sacerdoti. Ha voluto un gran bene ai suoi preti – ha rammentato il Porporato - anche a quelli che lo hanno fatto soffrire».

E poi il Cardinale ha continuato: «Nel ricordino della prima Messa don Albino aveva fatto scrivere: “Il sacrificio che oggi ti offro, ti sia grato, o Signore, e sia di conforto e di consolazione a quanti lo hanno preparato e atteso”. Ma chi l’aveva preparato e atteso? Certamente gli sarà passata davanti agli occhi la barba di quel frate cappuccino che nella primavera del 1923 gli aveva fatto scoccare la scintilla della vocazione; la maestria nell’uso della fionda di frate Remigio, predicatore quaresimale a Canale d’Agordo, conquistò Albino e gli fece cogliere il fascino di una vita spesa per il Signore». E sicuramente al futuro Papa sarà tornata alla mente anche la lettera «del papà suo Giovanni, allora emigrante in Germania per mantenere la famiglia, che lo aveva autorizzato a entrare in Seminario, come vivamente desiderava».

Ma in particolare «ricordò don Filippo Carli, il caro pievano che solamente pochi mesi prima dell’ordinazione di don Albino, nel 1934, aveva chiuso gli occhi alla scena di questo mondo: in quella giornata era il suo parroco il grande assente, ma molto presente nello spirito». Stella ha spiegato: «Una volta scoperto il “pacco regalo” posto nel cuore di Albino dal Signore, il ragazzo venne aiutato a scoprirne il contenuto proprio dalla bella figura sacerdotale del suo parroco, don Carli, che provvide a indirizzarlo al Seminario, orientando la sua famiglia e predisponendo l’ambiente e le circostanze. Attraverso la guida e l’esempio di questo sacerdote, l’intuizione iniziale divenne una scelta definitiva di vita nel sacerdozio».

Sono molteplici «le linee e di continuità che uniscono don Filippo e don Albino: per esempio, nella strenua volontà di essere semplice ed efficace nella predicazione e nella catechesi; nell’attenzione agli umili e ai poveri; nell’obbedienza e nella lealtà verso la Chiesa».

Don Carli «voleva farsi capire dalla gente nella sua predicazione e questo fu il pregio del sermo humilis, del dire umile di Papa Luciani. Don Filippo avviò con intelligenza, qui a Canale d’Agordo, la pubblicazione di un bollettino parrocchiale e il Patriarca Luciani – ha raccontato Stella - incurante delle critiche dei benpensanti che avrebbero preferito un magistero più cattedratico, chiedeva posto nel Gazzettino e nel Messaggero di Sant’Antonio, per pubblicare le sue celebri lettere agli Illustrissimi, certo del passato, ma per attrarre l’attenzione dei vivi e dei presenti, su temi importanti, formulati nella semplicità, ma saporosi nel contenuto». Dunque, profondità di concetti espressa in un linguaggio familiare, quotidiano.

E ancora: «Don Filippo fu il prete dei poveri, don Albino non lasciava mai andare via un questuante che bussava alla porta dell’Episcopio. “Miei fratelli, diceva, non possiamo dire di amare Cristo, se non condividiamo questa passione per la povera gente”. (Omelia per la Festa di San Marco del 25 Aprile del 1974)».

Poi: «Don Filippo visitava con delicatezza gli ammalati; don Albino non trascurò mai quest’opera di misericordia».
Inoltre, don Carli «sentenziava spesso: “Obbedire bisogna”! Monsignor Luciani fece della lealtà verso i superiori la stella del suo cammino, partendo dall’umile servizio di Vicerettore nel Seminario a Belluno, fino alla più coraggiosa ed esemplare lealtà verso Paolo VI, nei momenti più drammatici della contestazione degli anni Settanta». E con lo stesso spirito di ubbidienza «accettò anche la chiamata al soglio pontificio».  



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